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Arrivo in Liguria. Chiavari e Zoagli



Alla Liguria ci siamo dovuti abituare.

La discesa a slalom attraverso le Alpi Apuane è stata decisamente troppo veloce, e non ci ha lasciato il necessario tempo di decompressione prima della nostra immersione nel Golfo del Tigullio.

Il breve stop & go sul Ponte del Diavolo a Borgo a Mozzano non è stato sufficiente, perché digerire la maestosa e massiccia bellezza della Garfagnana non è cosa facile.

Ad ogni curva si apre uno spicchio di pianeta che ti ingloba fino al tornante successivo dove tutto ricomincia a sommergerti togliendo (e tagliando) il respiro senza pietà. A ogni kilometro di asfalto caldo sembra di trovarsi nel posto più bello del mondo che surclassa il posto più bello del mondo appena attraversato.

I borghi sono pochi, rispettosi, distanziati. Tra di loro una striscia grigia che li collega come meglio può e che cerca di far breccia tra le Alpi, nelle pareti di marmo, per poi sfociare nel Mar Tirreno della Versilia.

Olga è quasi commossa da quello che sembrerebbe essere tutto ciò che in qualche modo abbiamo sempre sognato di avere attorno, ma che percorriamo rapidamente per raggiungere Mario che ci aspetta a Zoagli.

“Torneremo” è la solenne promessa che ci facciamo.

Sbarchiamo al mare nei pressi di Sestri Levante dove ci sgranchiamo le gambe cercando di comprendere se ci troviamo ancora nello stesso paese, in quell’Italia che è una, nessuna e centomila.

Mentre il mare ha allargato l’orizzonte a una sorta di ansioso infinito, l’accento delle persone si è stretto tra le labbra e ha il suono quasi brasiliano della saudade.

La costa si tinge di un misto tra edifici rosa neoclassici, condomini vacanze color cemento e fasce di ulivi verdi segnalati da margherite gialle. L’aria ha l’odore del sale e dell’umido ansimare di tutta quella vegetazione esplosiva che non si calma se non attraverso la folata sporadica dei primi ciclamini.

Per strada le Tesla targate “MI” parcheggiano nei porticcioli tra i pescherecci e le Ape Piaggio.

Il mare, che piaccia o meno, darà sempre quella magica sensazione di vacanza imminente, di tutto è possibile, di Gerry Calà. Quando si va al mare, si torna tutti ad avere quindici anni, pronti ad innamorarsi per un po’ per poi ripartire.

Attraversiamo Chiavari e arriviamo nella proprietà di Mario, che con i suoi tre ettari di fasce scende ripida dall’Aurelia fino alla scogliera. Lui, puntuale, ci accoglie con del mirto sardo e ci spiazza. Avevo già parlato al telefono con Mario, ragion per cui mi ero creato un’idea del personaggio, ma non così dettagliata. É un signore di quasi ottant’anni, forte, solo, consapevole e dalla parlata facile. Il suo senso dell’umorismo, di primo impatto, è rude e offensivo, ti punge, ti confonde. I primi venti minuti di interrogatorio sembrano quasi una candid camera che nemmeno il terzo bicchierino di mirto riesce ad ammorbidire.

Con Olga ci guardiamo e scegliamo silenziosamente di giocare la carta della pazienza, carta da aver sempre nella manica durante un viaggio.

Assecondiamo il discorso che è in realtà la somma di una decina di discorsi accennati e mai finiti, e ci lasciamo accompagnare al nostro alloggio. Lo chalet è immerso nel bosco, dove Mario da quasi due anni non mette piede a causa di vari problemi di salute, e dove di conseguenza rovi e cinghiali hanno costruito un vero e proprio regno. Tuttavia, la bellezza della proprietà risulta evidente nonostante la selvaggia coperta di madre natura gettata su qualsiasi cosa, così come il buon gusto e la buon anima di Mario cominciano a liberarsi della loro orgogliosa corazza. Veniamo lasciati al nostro insediamento, con calma, senza fretta.

“Oggi è sabato, ci vediamo domani e poi da lunedì vediamo tutto quanto assieme”.

Sento che Mario ha dentro di sé qualcosa che va ben oltre il semplice baratto. La mia empatia difficilmente si sbaglia.

Come da consuetudine, ogni volta che raggiungiamo una nuova meta, cominciamo a sviscerarne e percepirne le sensazioni attraverso il gioco silenzioso del “immagina se vivessimo qui”.

La prima mossa è quella di trovare una persona del posto (in questo caso ci ha già pensato Mario) che indichi un bar/ristorante di quelli veri, magari ai margini, dove vanno i locals. Qualsiasi viaggiatore deve ricordarsi che è in questi posti che si trova la vita vera. Aprite Google Map, cercate il centro storico, ed evitatelo per le prime 48 ore. Anche questa volta, così facendo, cominciamo a scoprire Chiavari. Sembra carina ma non ci conquista (per lo meno non ancora): “non è la Toscana” ci diciamo stupidamente. Il limite e la meraviglia del nostro gioco è che ogni nuova tappa, per un breve lasso di tempo, sembrerà sempre meno bella (o meno “casa”) della precedente, fino a diventare casa essa stessa e quindi inseparabile. Inoltre siamo stanchi, fisicamente e mentalmente, tra l’altro ancora un po’ scossi dall’energia di Mario che non sappiamo ancora bene come gestire.

Anche qui in Liguria abbiamo una lista di “cose/persone da fare/vedere”, così dopo una breve passeggiata in riva al mare torniamo al nostro chalet.

Fuori è già buio, ma un sorprendente corridoio di lucciole a perdita d’occhio ci illumina il cammino. Finestre aperte sul mare, grugniti di cinghiali tutt’attorno, le Ferrari che scalano secche in terza sulle curve dell’Aurelia. In montagna, alle spalle, suona ancora una campana.
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