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Belli dentro. San Quirico e la Svizzera Pesciatina



Per cominciare l’esperienza Toscana come si deve, non appena apro la finestra della camera per guardare la meraviglia che ci sta di fronte, veniamo colpiti da un fulmine. L’onda d’urto e il frastuono, oltre a bruciare l’interruttore generale, rompono immediatamente il ghiaccio tra noi e i nostri nuovi Host. Non che ce ne fosse bisogno, considerato lo spirito che già dimostrato nei cinque minuti di tragitto dalla piazza del paese a casa.

In attesa del sopralluogo dei Vigili del Fuoco si ordina una pizza, ci si continua a conoscere e, con la lavastoviglie incendiata, si capisce subito quale sarà la nostra (di Olga ad onor del vero) prima mansione.

La cucina è un campo di battaglia dove Mauro, il figlio di Irene, sta portando avanti una campagna culinaria contro il tempo per prepararsi al gruppo di ospiti che arriverà l’indomani.

Ovviamente, oltre al genuino panico d’Irene, non c’è nulla di pronto. Appena seduti, il tavolo si trasforma in una babele italo-germa-olandese che mi scatena la consueta invidia per tutti quei cervelli in grado di cambiare registro come ottave di un pianoforte. Migliaia di suoni s’ingarbugliano alla pizza masticata e si alternano ad espressioni facciali che rendono comunque più o meno tutto comprensibile. Come ho già scritto in uno dei miei post, trasmettere è cosa facile.

A quanto pare, per stanotte resteremo nella casa principale, poi domani verremo accompagnati alla villa di San Quirico, a circa venti minuti di meandri da Pescia. Irene continua a rimbalzare su ogni lato della cucina senza trovare pace.

“Per voi è un problema stare lassù qualche giorno?”.

Dentro di me, memore delle fotografie spedite via WhatsApp, vorrei risponderle che non sarebbe un problema nemmeno se restassimo qualche anno.

“Finchè c’è un tetto stiamo benone”.

”Ecco a proposito del tetto ... ”.

Il suo sorriso bianco come quel ciuffo di capelli alla Crudelia De Mon sembra rendere tutto più facile.

Siamo a San Quirico da quattro giorni, riassumibili in una parola soltanto: freddo.

La villa, monumentale colosso di muratura stile anni 70, si trova a circa 450 metri di altitudine, nel cuore della cosiddetta Svizzera Pesciatina. Un‘oasi di verde dove le case stonano, sommerse da una natura che si è fatta roccaforte nei secoli contro l’invasione umanoide.

Ho provato a fare diverse fotografie per accontentare mia mamma, ma la vastità che ci circonda implode in una specie di punto verde ogni volta che penetra l’obbiettivo. L’immenso niente di tutto che ci assorbe è praticamente infotografabile.

Son certo che sia un ulteriore meccanismo di difesa “se non mi vedono non mi cercano”, resta il fatto che fa DAVVERO freddo. L’efficienza energetica della casa mi ricorda il garage del nonno Battista, dove lui ha stagionato felice per anni con una serie infinita di criceti i quali, ad uno ad uno, se ne andavano probabilmente prede dell’umidità. La pioggia di questo autunno fuori luogo non permette di svolgere i lavori all’esterno, il che ci proietta in uno stato di tensione generale perché vogliamo riuscire a fare tutto e a farlo bene. Dovremo mettere in ordine le stanze, scoprire e pulire la piscina, potare le piante e preparare il giardino (più che altro un parco), ripulire gli argini e ritoccare l’intonaco del soffitto rovinato dalle infiltrazioni d’acqua. La voce di Irene echeggia ogni volta che alziamo gli occhi: “A proposito del tetto...”.

In questo viaggio stiamo continuando a imparare. E’ come frequentare una sorta di scuola diffusa senza limiti d’età e senza campanelle, eppure aiutare gli altri non è cosa facile.

Ricordatevi sempre che incontrerete chi penserà a voi come dei poveretti che non potevano permettersi una vacanza. Ogni mattina che vi sveglierete più o meno felici ci sarà qualcosa da fare. Non a tutti interesserà quello che avete dentro (o dietro) di voi e avrete sempre troppo poco tempo per riuscire a trasmetterlo. Ci saranno dei momenti, o dei giorni, in cui vi chiederete cosa state facendo. Avete 35 anni, sarebbe ora di mettere su casa, famiglia, e trascorrere il fine settimana a pianificare la “staycation” al mare e la “fuga relax” in montagna. Magari, perchè no, sfruttando qualche sconto “Genius“ o cliccando su “Prenota ora non te ne pentirai”.

La vita nel bagagliaio di una macchina è una vita libera, ma è una vita scomoda. E l’ingrediente più difficile da digerire, almeno per me, è che quando si viaggia in questo modo, aiutando gli altri, non si è più il centro dell’attenzione.

Ci saranno momenti in cui richieste come fare una lavatrice, cambiare le lenzuola o rastrellare erba per ore vi sembreranno degradanti con la vostra laurea in letteratura russa e il vostro master in “management di qualcosa” lasciati appesi in cameretta. Penserete al dispiacere che avete dato a vostra madre la quale, per quanto felice della vostra felicità, non chiuderà occhio fino quando non sarete tornati perchè non riuscirà mai a comprendere cosa state facendo, ma soprattutto il perché. Quando questo succederà l’unica cosa da fare sarà riflettere sull’intensità del vostro stesso pensiero: è davvero degradante? Non sarà facile darvi una risposta, perché molti altri giorni la stessa attività vi sembrerà il lavoro più bello del mondo, finalmente il vostro “management di voi stessi”.

Vi commuoverete nel rigirare un mucchio di erba tagliata o nel sentire il profumo della biancheria stesa al sole sulla terrazza di un qualsiasi Appennino. Capirete che il mondo non si è fermato, ma sta finalmente andando avanti insieme a voi. E sarà la stessa erba odiata il giorno prima, la stessa biancheria, ma voi sarete assorbiti e vi renderete conto del perchè, spesso, l’uomo stona nel mondo.

Un paio di giorni fa, ancora grazie a Luca Fromentini del Podere Selva Capuzza che dovrebbe fare di mestiere il procacciatore di umanità, abbiamo conosciuto Luca Martinelli, autore, giornalista, ma soprattutto un ragazzo toscano che ha le idee ben chiare sul suo paese. Ci ha parlato del territorio, dei vini naturali, del suo lavoro pluriennale con la Strategia Nazionale per le Aree Interne. Ci ha raccontato la sua Italia, l’Italia di oltre 12 milioni di persone che vivono nelle cosiddette aree interne, l’Italia “bella dentro”come riporta il titolo della sua ultima pubblicazione per AltraEconomia (souvenir perfetto dagli Appennini).

Ascoltandolo, resta la voglia di restare, perchè qui, nonostante il freddo, si percepisce l’essenza del sentirsi bene. Non si è remoti, si è soltanto svuotati da una politica centralista che, fallendo miseramente, ha venduto per decenni l’Eldorado della metropoli.

Non si è lontani, e tanto meno “indietro”, perchè qui si è come siamo: consapevoli e infinitamente ricchi.

Ancora la stessa domanda: è davvero degradante?

Fino a quando non ci sarà risposta, l’unica risposta non può che essere il viaggio.

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