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Giordania. Petra. De André.

Aggiornamento: 13 mag 2021




Tra i cunicoli di roccia spuntano facciate di templi vecchi più di duemila anni, dove praticamente chiunque si è fermato almeno una volta a pregarti: i Romani, i Saladini, i Crociati, i Musulmani.


Amici e nemici in ginocchio davanti alla stessa pietra, con la stessa preghiera. Penso ai cavalli e ai cammelli stremati che devono essere passati da qui in attesa di raggiungere il mar Rosso, penso a Lawrence d’Arabia e capisco perché se ne sia innamorato tanto. Un deserto così conteso, così cruciale, così esoterico e già troppo “melting pot” due millenni fa.


In quaranta minuti di cammino si raggiunge il monastero, attraverso un percorso seminato di bambini-venditori con il deserto negli occhi. Vendono cartoline a un dinaro, mentre poco distante da loro un giovane accende il fuoco sull’orlo di uno strapiombo per prepararsi il tè al tramonto.

Mi sembra di sentire Fabrizio De Andrè che mi canta all’orecchio:

gli uomini del deserto hanno profili da assassini, perduti nel silenzio di una prigione senza confini

I turisti più pigri ci superano cavalcando dei poveri ciuchini che a ogni accenno di incertezza sulla roccia ricevono una frustata dal beduino di turno. Per loro il deserto deve essere ancora più duro.

Giunti in vetta, si domina il paesaggio: le rocce sembrano scaglie di grana beige su un tagliere mollissimo che mi ricorda il cielo di Roma descritto da D’Annunzio in apertura del suo “Il Piacere”. Le catene montuose senza nome si sovrastano e si aggrovigliano con violenza come se cercassero di fuggire dalla sabbia verso l’alto.


Di fronte al monastero un beduino dallo spirito imprenditoriale ha imbastito un bar che vende limonata e coltelli finti-cimeli ai turisti affaticati. Ripete a tutti la stessa frase: “compra un pugnale per la tua ex fidanzata”. La sabbia che ho nelle scarpe, nella gola e sulle mani mi mummifica, eppure l’Iphone che segna le 16.20 sembrerebbe prendere anche qui.


Il sole sta calando e tinge qualsiasi cosa di rosa, umanizzandoci. L’escursione termica inizia a farsi sentire e sopra la fiamma dell’ennesimo falò la stella polare buca la carta forno usata che fa da cielo.

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