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Giordania. Wadi Rum. Confini.

Aggiornamento: 13 mag 2021




Trascorsa la notte puntiamo il surriscaldato Trailblazer verso Aqaba, sulle rive del Mar Rosso, crocevia tra Giordania, Arabia Saudita, Israele ed Egitto, ma sulla strada veniamo interrotti dal Wadi Rum, il re di tutti i deserti. Nell’unico villaggio che parrebbe esserci nei dintorni, troviamo dei beduini che provengono tutti da una stessa famiglia, che a sua volta proviene dal deserto. É incredibile come nasca un beduino, nessuno ha saputo spiegarmelo. È come se si generasse da un vortice di sabbia, come se il deserto stesso ne scolpisse la forma nella roccia. Ogni beduino, in realtà, è una sorta di scultura.


Un bel ragazzotto con l’aria da maschio alfa ci carica su una jeep che mi fa comprendere quanto il nostro fuoristrada sia un top di gamma. Durante il tour (di fatto quasi un rapimento perché non esiste nessun tour) ci spiega che siccome tutta la sua famiglia vive lì, lui ha ben pensato d’improvvisare un business a bordo strada.


«Io sono guida» ci dice indicando un foglietto scritto a mano incollato al cruscotto che riporta “Abdullah Wadi Rum Tour”.


A quanto pare possiede qualche cavallo, dei cammelli, una jeep (per altro personalizzata) per cui è stato facile avviare la ditta individuale. Niente dichiarazione IVA.


Abbassa il parasole lato guida e sfodera il secondo foglietto con il suo convincente slogan

“Only cash, or you don’t come back”.

Qui nel deserto mi sento incredibilmente a mio agio, nonostante le mosche, il caldo e l’alito di Abdullah. Le preoccupazioni della vita “normale” come la chiamiamo sono scomparse, è come se, a differenza dell’IPhone, per i pensieri non ci sia copertura di rete. O forse è la rovente bevanda X al cardamomo che Abdullah serve da un termos anonimo a concentrare l’attenzione esclusivamente sul desiderio di non vomitare.


«Free of charge». Lui sembra esserne orgoglioso.


Nel rientro dal tour verso il parcheggio, in mezzo a un nulla senza strada, alla nostra destra appare un uomo sulla sessantina che ondeggia avanti e indietro. La nostra “guida”, gli grida qualcosa in arabo dal finestrino e scoppia a ridere spiegandoci che si tratta del matto del paese. Pare che dopo una brutta caduta dal cammello, si creda un cammello lui stesso. Tra me e me penso ai “matti” di Desenzano e mi rincuoro al pensiero che è davvero grazie a loro che “tutto il mondo è paese”.


Lasciamo il Wadi Rum a cuor scontento e 50 dollari in meno “fatturati” dalla Abdullah Wadi Rum con una sorta di benedizione, per proseguire il nostro viaggio e raggiungere il mare. Nonostante l’aria condizionata, comprendo i cavalieri cristiani nel vedere l’acqua dopo centinaia di chilometri di nulla arido. Oggi non ci sono crociate, ma la statale scorre a 5 chilometri dal confine con i territori occupati, la strada è disseminata di torrette nel nulla, e mitragliatrici che puntano pianure infinite, come un ditto che punta il cielo. A destra la Giordania, a sinistra Israele, la Guerra, il pellegrinaggio e la terra promessa. Ogni tanto emerge dal beige dell’orizzonte un checkpoint con del filo spinato. Qui i militari guardano la macchina, chiedono da dove veniamo con aria sospettosa, e nel sentire “Italia” sorridono e ci lasciano passare con un “Welcome to Jordan”. Chissà se avessimo risposto che veniamo dall’Egitto o dalla Siria quale sarebbe stato il benvenuto. La strada mi ricorda un coast to coast dei film americani, però senza motel e soprattutto senza distributori Texaco, situazione che non giova all’auto in riserva già da un pezzo.

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